Perché è così importante portare attenzione alla nostra storia familiare? Che cosa c’è lì che può realmente aiutarci nel nostro cammino, soprattutto dato che il nostro vissuto familiare non è mai semplice? Nessuno di noi ha alle spalle storie semplici. 

Ognuno di noi ha vissuti di dolore, ferite che si porta dietro rispetto all’educazione, alle dinamiche e alle relazioni che abbiamo vissuto, ma anche rispetto a ciò che ci è stato trasmesso dalla nostra famiglia tutta.

Non solo i nostri genitori ma anche le dinamiche con i fratelli, con i nonni e i bisnonni, e quelle con cui non abbiamo avuto un contatto diretto, a un livello di cui non siamo coscienti o consapevoli.

Che cosa c’è lì per noi, che ha a che vedere con il nostro percorso di consapevolezza, col nostro cammino spirituale qui, in questa vita, in questa dimensione?

La nostra storia non è casuale

La nostra storia non è casuale. Non ci è capitata per sbaglio e non è un ostacolo al nostro percorso. La nostra storia è parte dell’apprendistato che abbiamo da fare qui. Dire “non è casuale” significa, per me, proprio che è giustamente la storia che ci occorre.

Questo non significa che quindi la nostra storia va vista senza uno sguardo di verità. Al contrario: la nostra storia è ciò che è. Tuttavia, non è casuale.

La nostra storia è ciò che ci occorre

La nostra storia è ciò che ci è stato dato per poter fare il nostro cammino qui, acquisendo le risorse che ci servono per ciò che abbiamo da fare qui, per ciò che siamo venuti a esplorare in questa vita; per ciò che abbiamo bisogno profondamente di integrare, di comprendere e di cui sentiamo di dover fare esperienza.

La nostra storia non è casuale, perché attraverso tutte le dinamiche che abbiamo vissuto e che ci portiamo dietro possiamo trovare risorse, possiamo trovare alleati.

Possiamo lavorare su ciò che abbiamo vissuto, su ciò che ci è accaduto e su ciò che, a un livello, sentiamo di aver subìto, per trasformarlo in una buona risorsa energetica per noi e per il nostro cammino.

Guardare con verità

Per fare questo occorre andare a vedere ciò che c’è con verità. Qui ribadisco ciò che per me è molto importante: io non sono mai a favore dell’evitamento, né dell’accelerare i processi. Ovvero, non si può vedere il positivo, la risorsa della nostra storia, senza aver messo le mani, senza aver messo tutta l’intenzione, senza esserci messi a disposizione di un lavoro profondo e reale su ciò che è la nostra storia, su ciò che sentiamo, su ciò che è il nostro vissuto emozionale quando contattiamo memorie o incontriamo persone della nostra famiglia.

Evitare un contatto reale, profondo e di verità con ciò che ci è accaduto non serve a niente. Serve, appunto, a evitare e ritardare il momento in cui finalmente possiamo prepararci a ricevere ciò che di buono arriva dalla nostra storia. Perché sì, contrariamente a ciò che tanti pensano, c’è anche del buono. Solo che le ferite e il vissuto di dolore spesso ci impediscono di metterci in una reale e autentica predisposizione rispetto a ciò che possiamo prendere e ricevere dal nostro albero.

Predisporci a ricevere

Per la posizione che abbiamo nei confronti di chi ci ha preceduto, noi siamo i più piccoli. Questo significa che siamo qui per prendere qualcosa da loro. C’è molto che possiamo prendere dal nostro albero, dalla nostra storia familiare e dai nostri antenati.

Per poterlo fare, dobbiamo metterci nella condizione di ricevere e spostarci interiormente dalla convinzione che l’unica cosa che stiamo ricevendo è dolore, ferite, delusione, mancanza. Sì, c’è anche quello; però possiamo, attraverso un buon lavoro, predisporci a ricevere anche benedizioni, aspetti positivi, risorse e qualità che arrivano dal nostro albero, trasformandole in forza per noi.

Una forza che ci occorre perché non abbiamo un’altra storia, non abbiamo un’altra famiglia.

Abbiamo quei genitori; i nostri genitori hanno quei genitori; i nostri nonni hanno avuto quei genitori. Abbiamo i fratelli che abbiamo. Non abbiamo un’altra storia.

L’unica cosa che possiamo fare è lavorare affinché la nostra storia divenga buona per noi. Questo significa anche predisporci interiormente a cambiare la narrativa interna che abbiamo rispetto a questa storia.

Per farlo c’è un passaggio importante: quello che ci porta dal bambino all’adulto. Poiché le nostre storie non sono state perfette, spesso siamo ancora ancorati al bambino. Viviamo le cose come il bambino ferito che siamo stati, sentendo le mancanze vissute e la delusione che profondamente dimora nel cuore.

Tornare indietro

È importante poter “viaggiare nel tempo”, con un buon lavoro e una buona guida. Ma, come dico sempre, non torni indietro per ritornare il bambino che eri: torni indietro per contattare quel bambino attraverso l’adulto che sei oggi.

Da lì si può fare un lavoro: contattare ciò che è rimasto incagliato, bloccato a quel livello, e usare le risorse che abbiamo costruito oggi per metterle a disposizione di un cambiamento. 

Così possiamo aiutare quel bambino a fare una migrazione, a cambiare stato, a sentire che può stare e sentirsi diversamente; che quella storia è successa, sì, esattamente così, ma oggi abbiamo risorse per sostenerla come degli adulti, e quindi trasformarla a nostro favore, mettendo ordine e facendo pulizia.

È dura, sì; difficile, sì; ci ha fatto soffrire, sicuramente. Ma non è nemica.

Il nostro clan cammina con noi

Il nostro clan è qui: cammina con noi, viene con noi nella vita. Come spesso ho detto (ed è successo anche a me), andiamo nel mondo come se fossimo orfani; come se non avessimo un clan dietro di noi. Andiamo nel mondo con una parte di noi convinta di non avere una storia, un clan, una tribù: la tua tribù.

Questo crea smarrimento per l’anima. Spesso il non trovare il proprio posto nel mondo, il non sentire forte un’intenzione, una volontà, il non avere chiara una visione derivano da questo: sei sconnessa o sconnesso, vai nel mondo da sola/o, credendo che la vita si faccia da soli, con tutto su di te.

Ci sono persone che vivono così, ma è estremamente difficile. È un cammino di grande sofferenza. Tu hai una risorsa dietro di te: hai un clan. Non è solo un clan di ferite. Ci sono anche quelle, si lavorano, certo che si lavorano, perché è una pietra grezza che si può lavorare fino a diventare il tuo diamante, il tuo tesoro prezioso.

Come dico alle mie studentesse: le perle con cui puoi fare la collana del tuo clan e portarla con una certa pace, se non addirittura fierezza. Una pace, una quiete: “Io arrivo da qui e va bene così”. Questo è ciò che ho ricevuto e lo porto con me come un nobile guerriero di luce che fa il suo cammino qui.

Andare nel mondo senza questo contatto, senza senso di appartenenza, senza un buon lavoro di connessione con questo aspetto della tua esistenza è andare nel mondo come anime erranti, senza risorse che invece sono lì, pronte per essere date. Ciò che manca è che tu ti predisponga.

È la predisposizione a tendere le mani e dire: “OK, oggi sono pronta a ricevere questo, accolgo questo”, fino ad arrivare persino a chiedere. Perché, lo dico sempre, non si può credere completamente che facciamo le cose solo perché le abbiamo decise o create noi. Sì, in parte sì, ma credo fortemente che nulla di ciò che facciamo, diventiamo o conquistiamo sia dato senza un permesso. Noi abbiamo dei permessi, riceviamo dei permessi, e una parte arriva dal nostro clan familiare.

La disconnessione dal clan

Per la mia esperienza, a volte il nostro malessere è parte di una disconnessione troppo profonda, troppo ignorante, in qualche modo. Stiamo davvero dimenticando e tralasciando un aspetto importante della nostra esistenza. 

Fino ad arrivare a chiedere di ricevere, a chiedere benedizioni; a sentire davvero che qualcosa hai bisogno di farlo con il sostegno di chi ti ha preceduto. Spesso ho lavorato su questi temi, di una delicatezza e poesia incredibili, ed è sorprendente ciò che accade anche solo iniziando a camminare in uno spazio e sentire che, mentre cammini, dietro di te c’è la tua storia, c’è il tuo clan.

La verità è così. Quando si lavora con gli altri, quando si mette in campo il tema della famiglia, degli antenati, si sente che arrivano, si sente che l’energia cambia. È una dimensione pulita e rispettosa, che sta al suo posto. Nel momento in cui diciamo “no”, è no. Quando chiudiamo quella connessione, questa volontà è rispettata.

Quando invece diciamo “sì” alla connessione, diciamo sì a un senso cosciente, lavorato e consapevole di appartenenza: l’energia cambia incredibilmente nella vita, e lo si sente nei passi che facciamo, nelle decisioni che prendiamo. 

Non è tutto qui, ma è parte del nostro cammino: ritrovare il senso profondo del perché arrivo da lì. Davvero: che cosa c’è lì che mi è stato dato e che devo imparare a vedere e riconoscere.

Spero che questa piccola ispirazione vi sia stata utile. Nella mia vita lo è stata moltissimo, e benedico il giorno in cui mi sono resa conto che stavo camminando sentendomi profondamente sola, riconoscendo quanto dolore e quanta fatica questo recava nella mia vita. Benedizione è stato il momento in cui ho potuto girarmi a guardare la mia storia e riconoscerla.

E riuscire, con tanto lavoro a guardare con occhi amorevoli chi mi ha preceduto; vedere ciò che mi hanno permesso di fare attraverso le loro vite, le loro morti, i loro sacrifici, le loro rinunce. Quanto del loro vissuto mi ha permesso di vivere forme di liberazione. Quanto del loro vissuto porto su di me; lo porto, pur non senza fatica, senza sentire che mi sia stata data una maledizione, ma piuttosto un’opportunità.

Non si tratta di vedere la tua storia per ciò che non è. Si tratta di darsi la possibilità, attraverso il mago, l’alchimista, la divinità che vive in te, di vedere anche altro della tua storia, riconoscerlo, trasformarlo, fino ad arrivare a dire: grazie.

Vuoi approfondire il lavoro con i tuoi antenati?

Puoi partecipare a ORIGINE *vita morte rinascita*, il ritiro che si terrà in Emilia Romagna dal 30 ottobre al 2 novembre. 

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