

Qui trovi la registrazione della conferenza che ho tenuto presso la Libreria Esoterica di Milano.
Mi sono chiesta perché fare una conferenza su quelle che io ho chiamato, e non solo io, le tappe iniziatiche del nostro cammino. Questo non vuole essere un incontro in cui vi racconto il tarocco a livello di studio: non è lo spazio e vi assicuro che non basterebbero dieci anni, quindi non lo faremo. Quello che possiamo attraversare anche in un tempo breve come questo è iniziare ad attraversare questo grande romanzo epico che è la nostra vita.
Tutti noi abbiamo un’esistenza più o meno complessa, più o meno fluida, a seconda dei momenti. Possiamo però essere d’accordo sul fatto che nella vita ci sono delle soglie, delle tappe, dei momenti che chiamo iniziatici e che arrivano come prove che la vita ci mette davanti. A seconda di dove ci posizioniamo, di che postura abbiamo, del nostro livello di coscienza quando arrivano queste prove, la vita va in una direzione o in un’altra; prende una forma oppure un’altra; la coscienza si espande oppure si ritrae. Per me il tarocco è uno strumento eccellente per fare un viaggio e comprendere che tutti noi siamo qui perché abbiamo una direzione comune, anche se il cammino è diverso per ognuno. Abbiamo una direzione comune, come si vede nel Tarocco di Marsiglia, ma ognuno ci arriva attraverso l’essere che è, i codici che ha, ciò che gli è stato affidato e tutta l’esperienza della sua natura.
La prima cosa che voglio dirvi, sia che conosciate il tarocco sia che non lo conosciate — davvero irrilevante in questa situazione — è che quello che vedete qui è un Tarocco di Marsiglia, una sua versione. Questa che uso io è la versione Amuan Iodorowski. Perché uso questo? Ci tengo a dirlo. Sono fedele a questo mazzo. Più che studiare i tarocchi, faccio esperienza col tarocco da circa vent’anni e sono rimasta fedele a questo mazzo perché ho imparato tantissimo grazie all’incontro con Cristòbal Diodorowski, che mi ha insegnato tanto della vita e del tarocco, pur senza parlarmene mai direttamente, anche se lui arriva da una famiglia che conosce molto bene lo strumento. È un gesto per onorare una di quelle persone che considero un maestro che ho avuto nella vita.
Quello che vedete qui è uno schema che ho incontrato negli anni di studio: gli Arcani Maggiori suddivisi per sette. Gli Arcani Maggiori sono ventidue: abbiamo tre file di sette più il Matto, che è l’inizio ed è l’unico. Questa divisione per sette è molto interessante per ciò che attraverseremo oggi insieme.
Per me il tarocco è uno “strumento di potere” non inteso come potere sull’altro, che ti mette al di sopra dell’altro o in una posizione di non essere insieme, perché nella vita o insieme o non si cammina. È uno strumento del tuo potere, uno strumento che ti rivela il tuo potere. Grazie alla sua struttura ben fatta aiuta chi entra in contatto a autorivelarsi a se stesso. Non dice nulla che è fuori. Dico sempre: il tarocco non è fuori. È vero che è un mazzo di carte che tieni in mano e ad un livello la mente crede che sia fuori da te, ma non è vero. Il tarocco non è nient’altro che lo specchio di una tua dimensione interiore. Il tarocco è dentro. Tutto quello che vedi qui non è fuori: è già dentro di te. È semplice, ma non è facile. Il nostro cammino ha il senso di riportarci a noi, di riportarci a casa. Non c’è nessun posto dove dobbiamo andare, nessun luogo da raggiungere, nessuna condizione da conquistare fuori di noi. Esiste solo ciò che già sei e che via via, durante la vita, si svela.
Tutta la nostra vita sembra un percorso per ritornare a casa. E dov’è la casa? È dentro. La casa sei tu. Non hai altra casa se non tornare a te, ritrovare ciò che è in te da sempre. Quando parlo del Mago, numero uno, parlo del seme: il seme è già la quercia. Perché noi dovremmo fare eccezione? Tutto il cammino della vita sembra un cammino di autosvelamento e autoscoperta per tornare a casa e poi dissolverti: quando torni a casa ti prepari a morire, a dissolverti, ad andare altrove, a passare attraverso una soglia in un’altra dimensione con regole e leggi diverse.
Il tarocco aiuta ad autosvelarsi e autorivelarsi tutto il tempo. Perché “auto”? Perché, nonostante la vita ci metta a disposizione molti maestri, situazioni, alleati e prove, nessuno può fare il lavoro al posto nostro. Nessuno può indurre un cambiamento autentico o generare una presa di coscienza autentica se non sei tu a dire sì interiormente. Sono i sì e i no che dici che fanno del tuo cammino il cammino che è, che fanno della tua vita un’opera d’arte, che fanno del giardino che sei — io credo che noi siamo dei giardini — un giardino fiorito, d’autunno o d’inverno. La più grande sofferenza si genera perché opponiamo resistenza a tutto questo. Siamo in contrattura con la vita. È sorprendentemente semplice, ma incredibilmente difficile dire sì alla vita.
La fiducia nella vita è un meraviglioso concetto, ma per integrarla bisogna preparare il terreno interiore per dire un sì autentico. Un sì autentico arriva ai piani alti dello schema, quando il livello di coscienza si è aperto ed espanso. Prima c’è un no alla vita e ci sta. Io non contemplo l’errore della vita: vita ed errore non vanno insieme. Non c’è errore nel cammino. Ci può essere difficoltà o non comprensione, ma non c’è errore. Quello che arriva è alla nostra misura, alla nostra portata. Questo non significa che siamo sempre pronti a dire sì o ad attraversare le soglie, ma ciò che arriva è alla nostra misura.
Questi tre livelli li ho studiati meglio in questi giorni e mi hanno aiutata a mettere ordine anche nel mio momento di vita. Il primo è chiamato terrestre; il secondo, centrale; il terzo, celeste. Il primo per me fa capo alla terra; quello intermedio al cuore; l’ultimo allo spirito. La nostra esistenza parte dal primo livello, quello terrestre, quando iniziamo il cammino di incarnazione e nasciamo. Prima ancora di nascere, veniamo attraversati da un impulso di volontà. A prescindere dal credo di ciascuno, io credo che a un certo punto l’anima dica sì: “Scendo, vado a fare ciò che ho da fare, accetto il patto, comprendo, trasmuto, trasformo e imparo ciò che ho da imparare”. L’incarnazione, per come l’osservo, inizia il primo giorno e finisce con l’ultimo respiro. Non è solo avere un corpo. Io sto imparando a incarnarmi tutti i giorni. Fino a circa trentadue anni non ero incarnata nella mia vita: ero in un corpo ma senza ancoraggi, senza asse di connessione con la terra, la gravità, il corpo, questo piano di realtà. C’è voluto molto per accettare che questo piano ha leggi e regole e che incarnarsi significa avere a che fare con la materia: corpo, salute, bisogni del corpo, cibo, alimentazione — per me un grande tema — e denaro, altro tema fortissimo.
Il nostro percorso inizia in famiglia. Nel primo piano vediamo una madre e un padre — l’Imperatrice e l’Imperatore — che oggi consideriamo come i nostri genitori. Il nostro primo luogo è la famiglia. Anche questo è un grande tema. Noi arriviamo da lì, dalle cellule, dalle convinzioni e credenze. Siamo, ad un livello, l’unione di quel maschile e di quel femminile. Essere figli non è facile. Perché diventi qualcosa di sostenibile, chiaro e risolto dentro di noi, bisogna fare strada.
A un certo punto quella dimensione non basta più. Non possiamo rimanere lì tutta la vita. Andare oltre significa che dentro hai sentito una voce che sussurra, parla, canta, ispira e spinge ad andare a vedere cosa c’è fuori. All’inizio hai bisogno di rispecchiarti per riconoscere nuove parti di te che non si esauriscono nel nucleo familiare. La grande prova è dire sì a quella voce e rischiare di uscire. Interiormente è un primo saluto a mamma e papà. Alcuni non lo faranno mai e va bene: ognuno ha la sua storia. È importante però vedere che a un certo punto quella voce ha cantato e magari non eri pronta, hai avuto paura, hai resistito, hai ritardato. Quella voce è il tuo Sé superiore, la parte di te già risvegliata che canta per te. La questione è imparare a dire sì. Il primo sì non è un “no” a loro: è un sì al dovere di stare con me e scoprire chi sono. Non è un diritto; è un dovere.
Dire sì a questa voce significa iniziare a conoscersi. Amare se stessi è un dovere, non un capriccio. Se accettiamo che siamo scintille divine, amare se stessi significa imparare ad amare Dio, perché non hai un’altra forma di conoscere Dio se non attraverso di te. Dove lo vai a conoscere? Sei tu il canale, il tempio, il luogo dove Dio parla, dove gli angeli parlano, dove gli esseri ti mostrano cose. Non hai altro che te per fare il cammino. Tanto vale fare amicizia con te, stare bene e renderti la vita facile per quanto possibile. Il senso è diventare il miglior giardino a disposizione di te stesso e lavorare tutto il giorno per farlo. Gli strumenti sei tu: le tue nevrosi, i tuoi no, le tue contratture, i tuoi figli, i tuoi genitori, il tuo compagno. La casa che hai è l’unico luogo che hai ora; il corpo che hai è l’unico corpo che hai. Maggiore è l’amore per te, più vai verso l’incontro con la divinità: questa è la sintesi dell’Innamorato.
Quando entri in una relazione autentica di conoscenza di te, il bisogno di andare nel mondo viene da sé: incontri l’altro, vai alla scoperta di ciò che il mondo ti chiede. Pensiamo all’adolescenza: è il momento in cui abbiamo bisogno di disobbedire ai genitori per poter andare via e scoprire cosa il mondo ha da restituirci come immagine di noi. Il Carro ha due cavalli, rosso e blu in certe versioni: maschile e femminile. Andiamo nel mondo con ciò che abbiamo ricevuto dalla famiglia, spesso sgangherato, e impariamo a domarlo.
Poi si passa al livello intermedio, una linea di grande apprendistato: la linea del lavoro duro. Lo dico conoscendo bene la durezza: attraversarla mi è servito per chiedermi se la vita fosse solo “giochi senza frontiere” quotidiani. Non credo. La finalità è che la vita divenga più semplice e sostenibile, con più facilità e meno sforzo. Questo è possibile. Chi lo dice è passato da qui quando era il momento, perché ogni epoca ha i suoi ritmi: più perdiamo il ritmo, più è faticoso recuperare.
Nel livello intermedio entra in gioco il cuore, la grande emozionalità. Impariamo a conoscere i nostri strati e a lasciarli andare. Nell’ultimo livello i personaggi sono nudi: la nudità è simbolica. Qui invece siamo vestiti, con molti drappi. Il senso è togliere uno strato dopo l’altro, come una cipolla. Siamo chiamati a un confronto con noi: chi voglio essere? Su cosa voglio fondare la mia esistenza? Come edifico e coltivo il mio giardino? Decidiamo valori, pilastri, convinzioni, ideali e leggi del nostro “regno”, che per primi dobbiamo rispettare. È il momento in cui creiamo integrità. Essere integri non significa essere rigidi: più sei integro, più puoi concederti morbidezza. Una persona disciplinata diventa più morbida perché ha un asse dentro di sé. Più edifichi integrità, più puoi sostenere la crisi.
La crisi è inevitabile. Non è che se sei integro non vai in crisi. Ci sono tappe non negoziabili. Credo che si tratti di imparare a obbedire alla vita. Obbedire non è sottomissione: è mettersi al posto che ci corrisponde. La vita è più forte di noi. Non è la vita che va in crisi: sei tu che vai in crisi. Ci autogeneriamo le crisi, come il feto che al nono mese manda il messaggio “contrazioni”. Lo facciamo da una saggezza profonda che sa che dobbiamo transitare e incontrare un altro aspetto di noi. Resistiamo perché abbiamo paura dell’ignoto. Ma quando è il momento, affidandoci, bisogna attraversare la crisi: è una prova, un test del nostro livello di fiducia nel processo. Crisi dopo crisi, impariamo a conoscerci e a riconoscere i nostri meccanismi che ci impediscono di transitare con fiducia. Spesso diamo la colpa all’esterno, ma anche ciò che ci genera la crisi ce lo siamo scelti molto prima, molto bene: “il più antipatico”.
Quando la crisi è passata e possiamo guardarla con un minimo di distanza, facciamo i conti: cosa è successo, come mi sono sentita, cosa mi ha aiutata e cosa no, cosa avrei potuto facilitare non opponendomi. È come uscire da una lavatrice e chiedersi: cosa ne rimane di me adesso, cosa è rimasto in piedi e cosa non esiste più. Possiamo arrivare ad annusare quando una crisi si avvicina e dirle: “Vieni, ti aspetto e ti rispetto. Portami dove ho bisogno di andare”. La crisi è la vita. Si tratta di prenderla a braccetto e smettere di opporsi, perché la contrattura del resistere ai cambiamenti toglie un’energia impressionante. Abbiamo bisogno di tantissima energia e di una cura incredibile del nostro sistema energetico: non disperderla, recuperarla quando la perdi. L’energia la manovri.
Dopo la Ruota di Fortuna, che è la crisi, arriva la Forza. “Che fortuna la crisi.” Quando smettono di ripetersi le cose? Quando impari a governarti. Le dinamiche si ripetono perché non fai nulla di diverso e continui a scegliere, parlare, pensare e vibrare nello stesso modo. Se sei nello stesso modo, perché la vita dovrebbe essere diversa? Abbiamo bisogno di governarci, non con violenza, ma conoscendoci, per sapere cosa continuare a fare e cosa smettere di fare, dire o pensare. Per imparare a governarti, devi andare a vedere da dove arrivi: l’Appeso. Ritorna la famiglia. Ciò che si muove in automatico dentro di noi, fuori dalla coscienza, spesso arriva da lì. A un certo punto bisogna tornare a casa — non letteralmente — e vedere da dove veniamo, ritrovare un legame con il primo luogo, capire cosa abbiamo ricevuto e onorarlo. Bisogna iniziare a sapere cosa significa onorare il cammino. La vita non gioca a nostro sfavore: è la nostra chiusura che non ci fa vedere bellezza e giustezza del processo. La famiglia è parte di quella giustezza. Ci vuole molto cammino per trovare pace, perché madre, padre e genealogia abbiano un luogo d’amore e rispetto dentro di noi. Non ci si può espandere se non troviamo un modo sano di appartenere alla nostra genealogia. Se sei in lotta, collisione, opposizione, non passi al livello successivo. Gli antenati sono coloro che ti hanno dato la vita: lì non c’è errore. Questo non significa pranzare la domenica con loro se è insostenibile. Parlo della postura interiore: dove sei quando pensi alla tua famiglia e ai tuoi antenati. Non puoi andare nel mondo come un orfano, neanche se lo sei davvero. Abbiamo bisogno di passare da qui perché da lì arriva tanta energia. Io, per venire qui oggi, sono andata dai miei antenati: ho un altare in casa con loro, sono andata a ringraziarli e ho chiesto sostegno. Non sono solo figlia dei miei genitori: sono figlia della vita e dell’universo, ma arrivo anche da lì. Andare nella vita sapendo che li hai qui è importantissimo. Credo che non si faccia nulla senza quel permesso: tutto ciò che sei oggi arriva da un permesso che arriva da là e ad un livello loro fanno il tifo per te.
Onorare e ringraziare e ritrovare la connessione è importante perché finalmente puoi lasciare i pesi, come fa l’Arcano senza Nome. Dopo i fiori delle offerte ai miei antenati, arriva uno scheletro: essenziale e tagliente. Sei libero. Puoi sentire interiormente la libertà di essere chi sei solo quando hai fatto un incontro di appartenenza con la tua storia. Quando l’hai fatto, puoi prendere l’ascia e dire “grazie di tutto, oggi posso pensare di essere libera”, non libera “da voi” ma libera di essere chi sei. Sei libera solo se riconosci da dove arrivi: altrimenti ti manca un pezzo. Da cosa ti liberi se non sai da dove arrivi? L’Arcano senza Nome porta un autentico spazio di libertà e un grande alleggerimento e recupero energetico: è una delle carte più vitali del tarocco.
Quando inizi a intendere la vita così, arriva un angelo perché ti rendi conto che tutto è medicina. Nella vita niente non è medicina: tutto. Ciò che permette alla vita di essere medicina è il tuo spazio interno, la tua predisposizione, ciò che hai attraversato e compreso profondamente. Se tutto è medicina non sei solo, non sei sfortunato, non sei destinato alla povertà. Siamo destinati alla comunione e all’abbondanza a tutti i livelli: salute, denaro, totalmente. La differenza tra essere o non essere nell’abbondanza è come sei tu: la prendi o non la prendi, fino a dove la vita te lo permette.
Nel piano celeste c’è un grande “denudarsi”: tutti sono nudi. Appaiono molte cose: il cielo diventa parte della nostra vita, si manifesta e si apre a noi. Non siamo più soli: siamo in compagnia del cielo, degli esseri e della Madre Terra che ci sostiene. C’è una comunione di intenti tra noi e i piani alti e bassi. Mi chiedevo: perché arriva il Diavolo come prima carta aprendo il cielo? Il Diavolo è un angelo degli inferi con una torcia. Porta il fuoco, fondamentale e comune a tutta l’esistenza. Dice: per fare l’ultima parte del cammino e iniziare a ricevere tanto, c’è ancora un passaggio, il tema delle dipendenze. È come se chiedesse: sei davvero pronto a ricevere ciò per cui hai lavorato tanto, l’abbondanza, la gioia, la leggerezza dello spirito, la voce delle guide? Allora lascia ciò che ti trattiene nella tua ottava bassa. Cos’è ancora? Le dipendenze portano alla luce ciò che fai e non è coerente con il luogo interiore in cui vuoi andare. Tutti conosciamo le dipendenze. Lasciarle permette un salto verso l’abbondanza, la regalità, la divinità che dimora in te e la capacità di generare una vita che è creazione divina, dove le cose avvengono con semplicità: tu fai la tua parte e la vita risponde.
La fiamma del Diavolo è purificatrice. Passa attraverso questo fuoco e fai il salto. Ci sono fiamme che lavorano per noi e che dobbiamo attraversare per purificarci, non per incarnare la perfezione — non diventeremo perfetti né maestri ascesi, lavoriamo per quello ma ancora no — bensì per un altro recupero energetico importante. Nelle dipendenze disperdiamo energia vitale e perdiamo fiducia e stima di noi stessi. Ci facciamo piccoli. Lo dico anche dalla mia esperienza con le sigarette. Con “dipendenze” intendo tutto ciò che ci porta giù. Questo lavoro crea un grande rilascio energetico, come nella Torre, la Maison Dieu.
C’è una frase nell’antroposofia di Rudolf Steiner che ho impressa: né troppo in alto né troppo in basso dobbiamo stare. Non dobbiamo farci portar via dal regno dei cieli né ambire a stare troppo in basso. Dobbiamo essere esseri di grande equilibrio. Un buon cammino spirituale non allontana dagli ancoraggi né dal radicamento. Se qualcuno pensa “sono spirituale quindi posso permettermi di non gestire bene il denaro, di non lavarmi quando devo, di non sapere come procurarmi il cibo o intercettare quando il corpo non sta bene”, è un inganno. Dobbiamo incarnare lo spirito qui, nel canale che siamo. Essere nella casa di Dio non significa aver finito e potersi estrarre: significa celebrare chi sei oggi. “Io celebro chi sono. So che sto facendo il meglio che posso.” Quando lo sai, la vita cambia. Al mattino ti dici: “Non è perfetto; sono inciampata, ma sto facendo del mio meglio”. La vita ti risponde diversamente. Inizi a edificare emozioni, pensieri e parole per te totalmente diversi. Come ti parli? Con quali parole ti descrivi? Che sentimenti coltivi quando incontri qualcuno? Quanto tutto questo ti porta via da te o ti attraversa lasciandoti in te?
Da qui in poi le carte sono difficili da raccontare e preferisco che ognuno le collochi dentro di sé. C’è un momento in cui possiamo sentire di essere dentro una danza di abbondanza e perfezione incessante. Possiamo chiedere aiuto e non siamo soli: le stelle sono con noi e non è un pensiero astratto. Quando sei lì, ti rendi conto che sei esattamente ciò che devi essere e che devi imparare a darlo. Dobbiamo imparare a darci senza paura. La vita ha bisogno che tu ti dia, nudo. A questo livello si può. Se dai prima, dai le tue nevrosi e va bene: si passa da lì. Ma qui non devi avere dubbi: sei qui per darti. La vita vuole questo da te. Tutti gli esseri che ti circondano hanno bisogno che tu dia ciò che sei. Quando lo fai, arriva un’abbondanza senza fine. È una verità che si fa dentro di te: quando entra, è tonda e precisa. Quando integri una verità, c’è un punto di non ritorno.
La Luna, il Sole, il Giudizio: non sei più un individuo in senso separato. Ti conosci, ma sei parte di un sistema immenso. Sei madre, sei figlio. Ti occupi degli esseri umani e gli esseri umani si occupano di te. Non esiste più separazione. Incarni il principio maschile e quello femminile, sei radiante e lunare, figlia dell’universo. Sei passata a un’altra dimensione pur rimanendo qui. Siamo esseri multidimensionali: continui a fare il tuo lavoro, vai a comprare il pane, vivi la vita quotidiana, ma il modo in cui sei qui è completamente diverso. Quando sei dal fornaio, sei con lui e sai che dietro c’è un essere che neanche lui sa di essere: parli con quell’essere. La vita diventa un’eterna celebrazione. Sei qui e parallelamente canti, celebri, preghi e ringrazi tutto il tempo, con tutti gli aspetti che compongono la tua vita, perché nulla è lontano da Dio e dal sacro. E poi ti dissolvi.
Questo era quello che volevo dirvi oggi. Sono contenta di essere riuscita a dire tutto. La vita è esperienza. Perché qualcosa diventi una conoscenza profonda, abbiamo bisogno di fare esperienza. Più cadiamo nell’inganno di sentirci sbagliati o che questa vita non è quella che meritavamo e doveva essere diversa, più perdiamo opportunità. Al di là della bellezza del tarocco — per me un maestro che parla — è il suo insegnamento che vi ho portato, perché la vita può essere diversa da come per tanto ci convinciamo. Può essere un’esperienza gradevole, in cui ti senti amabile e degna d’amore. Più ti connetti interiormente a questa verità che dimora in te, più la realtà cambia. Vale la pena imparare a dire qualche sì alla vita, scommettere su di noi e autorizzare quelle voci, sensazioni e bisogni che dentro di noi a volte sussurrano e a volte urlano. Dentro di noi dimora una divinità, una dea, e l’unico lavoro è scoprire quali sono le qualità che dimorano in te e farle diventare un giardino molto fiorito.
Abbiamo pensato a una giornata per fare esperienza. Ci sarà un workshop: il 16 novembre faremo qui una giornata insieme, una giornata di esperienza. Io sono una di esperienza, anche se oggi ho parlato a lungo. Ho potuto dire queste cose perché sono una donna che fa esperienza: non potrei altrimenti. A scuola ero tremenda, non imparavo a memoria: ho bisogno di fare esperienza. Il tarocco, la vita, il nostro stare sono da esperire, così si acquisisce la maestria di avere a che fare con se stessi e con ciò che c’è. Faremo esperienza attraverso il tarocco e le carte che estrarremo; pratiche corporee, visualizzazioni, per fare un passo in più nel cammino della maestria: divenire maestri di se stessi. Quando incontri una persona nella maestria di sé, diventa un maestro per te. Pensate alle persone che vi hanno ispirato: sono quelle che coltivano la maestria di stare con se stesse e hanno un profumo che tutti possiamo avere. Muoveremo il corpo e destruttureremo quelle parti mentali che dicono “adesso no, non sei capace, a te non tocca, sei un poverino”. Lavoreremo in cerchio, condivideremo, ognuno estrarrà carte che sono messaggi o aspetti di sé con cui confrontarsi o da ricevere; faremo pratiche e rituali per permettere a tutto questo di diventare parte del sistema, non una cosa letta e basta, ma integrata. È il mio modo di lavorare col tarocco: si lavora, si muove il corpo, si scardinano forme-pensiero che ci tengono in contenitori molto piccoli.